vendredi, avril 01, 2016

L'allineamento planetario _ di dilemmi esistenziali e conversazioni surreali

Essere in pace con me stessa e con il mondo non vuole significativamente dire che il mondo sia in pace con me. Dovrebbe, ma non è. Lo dice il fisioterapista, lo dice il pilates, lo dice lo yoga, lo dice l'universo.
Se lo dicono tutti, l'allineamento è di sicuro importante. Fondamentale anzi.
Cominciando dall'alba dei miei pensieri, almeno ho fatto pace con i miei ex. non con loro esattamente, ma con i pezzi di loro in me. Ogni ricordo è un bel ricordo, è una nostalgia melodiosa e armonica che non ha nessun bisogno di essere ritrovata o rivissuta.
E' solo bella, e completa nella sua bellezza così fulgida e instabile.
Capitano cose poi che mettono a dura prova la mia zenitudine nel perseguire un nobile scopo e i miei sogni. Capitano le proposte economiche.
Non erano forse i più grandi pittori, scrittori, artisti, tutti malati di tisi, ubriaconi, drogati e poveri in canna? Ovvio. Erano felici? Ovvio. Almeno mentre erano fatti marci di assenzio.
Riuscirò a seguire i miei sogni o mi lascerò attrarre dal vile denaro?
Intanto ho lanciato in aria 5 corone, che non hanno né testa né croce, ma in fondo non è importante cosa esce, ma quello che speri quando la moneta è in aria.
Perché è lì che capisci cosa desideri.
Grazie A, perché l'altra notte ho riso come una cretina a voce alta e anche perché tiri fuori la mia anima 15enne Sturm und Drang.
Una regressione in piena regola.

lundi, mars 28, 2016

La memoria del corpo

Oggi inciampo.
Tempo fa ho scritto una lettera aperta, a te A, e ho impresse quelle sensazioni nella memoria come fosse ieri. Il corpo ha memoria, i ricordi si sedimentano fisicamente nel corpo, e ci portiamo dietro questi sassolini che influenzano il nostro animo, e il nostro modo di camminare per il resto del cammino. I segni sulle ossa ci sono ancora.
Oggi questa lettera aperta sento di doverla scrivere a te, A, e a tutti voi altri, che ci siete stati prima e dopo di lui. Ad ognuno di voi, che ha inciso un nome, una parola, o una sola sillaba sulle mie ossa.
Ma oggi questa lettera aperta sento di doverla scrivere soprattutto a me stessa.
Voglio dirvi grazie, per avermi fatto sognare, soffrire, preso per mano, lasciato andare. per avermi fatto crescere.
E voglio chiedervi scusa per tutte le volte in cui sono stata fredda, aggressiva e poco presente. per non avere capito, per non aver ascoltato con il cuore, per non aver avuto fiducia.
E voglio chiedere scusa a me stessa, per non essere stata sincera.


mardi, mars 22, 2016

Piovono cimici _ racconti di fobie quotidiane e altre amenità

Stamattina mi è caduta una cimice in testa.
Ho paura solo di due cose, io: del buio, e delle cimici.
Il mio corpo ha due reazioni diverse a seconda della modalità in cui percepisco la bestia:
a. la vedo
b. la sento
Se la vedo, semplicemente mi paralizzo al solo pensiero che possa muoversi e fare quel dannatissimo rumore ronziettoso che mi fa gelare il sangue nelle vene.
Se la sento, misi chiude la vena, non mi arriva più sangue al cervello, vado fuori controllo, cerco di scappare il più lontano possibile agitando le mani in modo scomposto e urlando. una lady.
Stamattina mi è caduta una cimice in testa non è proprio esatto.
Stamattina nell'aprire la finestra ho sentito che qualcosa mi era caduto in testa, così mi sono passata una mano sui capelli e, guarda guarda, è caduta a terra una cimice.
L'ho fissata per un momento interminabile (stile ripresa stretta su Ridge espressione intensa in Beautiful), non ho urlato, non sono scappata. ero solo semi-paralizzata.
Il cervello funzionava, quindi mi sono chiesta:
- e adesso cosa faccio?
- la lascio lì?
- ah no ecco, cosa farebbe la fra con un ragno?
- la fra quando ha trovato un ragno gli ha buttato addosso un dizionario e poi è corsa via e ha chiuso la porta della camera.
- io non posso farlo perché non ho una porta da chiudere, e non ho un marito che al ritorno dal lavoro possa alzare il dizionario e rendere la stanza di nuovo agibile.
- e poi se la schiaccio puzza
- la prendo con un fazzoletto e la butto fuori
- eh sì certo, come se fosse facile
- non ce la farò mai
- dicevo anche che non ce l'avrei mai fatta a fare la verticale
- posso farcela
Miracolosamente dopo questi mille pensieri la cimice era ancora lì.
Ho preso un fazzoletto, ho raccolto la cimice e l'ho buttata fuori dalla finestra.
Un momento davvero simbolico, per chi mi conosce.

Oggi è una giornata catartica.
Grazie G, è sempre bello bere del vino con te. E lo small talk, anche con te, non è mai small talk.

lundi, mars 21, 2016

In cammino

Non c'è niente di più vero che durante il cammino quello che conta non è la meta ma il viaggio. 
L'altra sera S mi ha sbattuto in faccia una verità, che forse era l'ultimo mattone del fortino, chissà, e l'ha fatto così candidamente che non mi ha neanche fatto male, mi ha solo fatto rendere conto che un'altra delle mie incrollabili certezze, era una fregnaccia. 
Scusa D se me ne sono accorta troppo tardi. Dovrei chiedere scusa anche a me stessa.
Adesso però so di essere tornata, e mi piace, mi piace proprio. Perché ad ogni passo raccolgo un pezzo del puzzle, ed è un puzzle che si espande oltre i suoi confini. se prima era di cento pezzi, adesso può essere di centouno, di duecento o di mille e più. Chi lo sa. 
Sono sempre nel dubbio, ma questo dubbio mi piace, mi ci crogiolo un casino. 
Sento delle emozioni che erano sopite da tempo, le sento dentro come piccoli fuochi, ed è una sensazione meravigliosa. 
Fiat lux.

mercredi, mars 09, 2016

Una donna

Alfine mi riconquistavo, alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d'incontaminato, di bello; alfine arrossivo dei miei inutili rimorsi, della mia lunga sofferenza sterile, dell'abbandono in cui avevo lasciato la mia anima, quasi odiandola.
Alfine risentivo il sapore della vita, come a quindici anni.

samedi, mars 05, 2016

Cucù

Ho messo un piedino fuori dal fortino.
Tuona, mi piove in testa, poi spunta il sole.
Le emozioni mi travolgono, le Jimmy Choo mi fanno male ma le adoro.
La mia scarpa preferita è la nudità, per quello fuori dal fortino ci vado scalza, così sento la terra bagnata sotto i piedi, i sassolini, i fili d'erba, tutte le emozioni salgono dai piedi al cuore, e io le voglio vivere tutte.
Senza paura.
Ebbene sì, sto tornando...

vendredi, mars 04, 2016

L'epifania

Adesso mi ricordo perché amo tanto i Peanuts: perché ti accompagnano nella vita, danno voce ai tuoi pensieri e ti fanno realizzare cose che mai crederesti possibili. Eppure ti sono successe.

Quando l'ho letta ho realizzato che in un preciso istante, tempo fa, ricordo benissimo la sensazione come fosse successo due minuti fa, ho pensato una cosa e ne ho detta un'altra. 
L'opposto. 
E' davvero incredibile come l'amore trasformi i pensieri in parole. la strada tra il cervello e la bocca è corta, eppure un pensiero, per altro semplicissimo, ha fatto in tempo a diventare la cosa diametralmente opposta in sì e no lo spaziotempo di 10 centimetri e 2 secondi. 
Ho in testa un pensiero, chiaro, semplice, lineare, e dico l'esatto opposto. 
Non fa una grinza, considerando che probabilmente in quel momento erano sinceramente veri entrambi. 
Quando hai un'epifania prendi di buono quello che ti porta senza farti troppe domande, serenità, tranquillità, felicità a tratti, gioia, lucidità e consapevolezza. 
Io l'ho fatto, ho accolto a braccia aperte ogni bel sentimento che quel lunedì sera mi ha regalato. 
Solo andando a ritroso giorni dopo ho scoperto in che momento l'epifania si era rivelata, e ho capito che è stato proprio lì, guardandoti negli occhi, ascoltando il tuo cuore, stringendomi a te, che ho avuto l'illuminazione. 
Come è vero che per ritrovarsi bisogna perdersi. 

mercredi, mars 02, 2016

Il viaggio

Negando che le piaghe avessero la stessa origine della sua forza.

samedi, février 27, 2016

Ogni cosa è illuminata

E poi.
Un giorno, in un momento preciso, anche se non so quale di preciso, ho tirato fuori la testa dall'acqua e ho ripreso di botto a respirare.
Mi è parso tutto molto chiaro, a me, la regina delle certezze della cippaminchia.
Ho deciso di ascoltarmi, senza paura, senza schemi mentali, senza sovrastrutture né giudizi, ed è una cosa che mi devo ricordare ad ogni respiro, perché appena mollo un attimo la linea mediana del corpo e smetto di abbracciare il centro, vengo trascinata nel turbinio della vita che sta fuori, e mi perdo, di nuovo.
Per ritrovarsi, bisogna perdersi.
Inutile guardarsi indietro con rancore, rabbia, amarezza, delusione. Se non abbiamo fatto cose apparentemente semplici da fare, è perché non era tempo, o luogo.
Da una telefonata, sincera e molto bella, con L, vengono fuori le parole come se rotolassero via direttamente dal cuore, ed è vero, non ho paura.
Perché adesso, quello che prima scrivevo per convincere me stessa, per farlo scendere dalla testa al cuore, finalmente esce direttamente dal cuore.
In questo momento di vuoto cosmico, di dubbio brutale, di semplici domande tipo "come stai" che aprono uno stargate su mondi sconosciuti, c'è una certezza, che viene dal cuore e illumina tutto intorno:
il cambiamento è sempre positivo.

lundi, février 22, 2016

Le cinque fasi di elaborazione del lutto

1. Negazione
si rifiuta di credere che stia succedendo davvero, per risparmiarsi una sofferenza oltremisura. Il famoso fortino, le mura, la chiusura che avevo verso il mondo, per paura di soffrire, di soffrire così forte da non permettere che una sola goccia potesse far svuotare tutta la brocca, il cuore pieno di lacrime mai verste, parole non dette, emozioni non vissute.
2. Rabbia
perché? la rabbia io ce l'ho, non verso di lui, non solo. verso di me, per non essere stata capace di reagire. verso di noi, per non essere stati capaci di trovare un modo vero per reagire, per aver lasciato che si rovinasse una cosa preziosa che avevamo. sì, sono arrabbiata.
3. Contrattazione
con me stessa, più che altro. mi viene in mente una parola, che a pennello mi ha detto I ieri sera: resilienza. mi guardo intorno e dico, penso, progetto, alterno momenti di sconforto a momenti di estrema consapevolezza che sia la scelta giusta. Serenità, sguardo al futuro; passo indietro, rabbia, sconforto, delusione.
4. Depressione
non c'è via d'uscita, presa di coscienza della perdita. penso a tutte le cose belle che avevamo e che non possiamo più condividere. prendo coscienza dei miei errori, dei tuoi. Non mi isolo, ma non so cosa penso davvero.
5. Accettazione
sono pronta a voltare pagina. magari tra un po' lo sarò, quando mi sentirò stabile sulle mie gambe.


E' come se avessi tutte le fasi mischiate insieme in un unico cuore, troppo piccolo per poter gestire tutto questo potpourri di roba tutto insieme. Un momento sono lucidissima, il momento dopo voglio scappare, quello dopo ancora voglio affrontare tutto in una volta e fare progetti per il futuro. parliamo, e mi sembra che non abbiamo mai parlato, sono arrabbiata per tutto il tempo che abbiamo buttato via, buttando via non solo il tempo, ma anche l'amore. c'è un motivo, mi continuo a ripetere. c'è un motivo per tutto, c'è un motivo se ho perso te e il mio lavoro in dieci giorni. ci deve essere.
Ci siamo persi di brutto, abbiamo lasciato scivolare via l'amore dalle nostre mani, come sabbia tra le dita. e oggi, nonostante io abbia mille risposte, ogni risposta mi lascia in bocca un amaro tremendo, che un momento si lenisce impacchettandoti la roba, un momento dopo si lenisce al pensiero che ti voglio e ti vorrò sempre bene, e un momento dopo ancora non si lenisce per niente.
E questa vita, fatta di momenti, cosa mi sta dicendo? la solita cosa: l'unica cosa che può lenire il tuo dolore è il tempo. E forse il tempo ti darà anche delle risposte. Adesso non ci capisci niente, ma domani, o tra un mese, o due, ti darà le chiavi di lettura per questo manuale enciclopedico da sei chili che ti sei ritrovata sullo zerbino di casa.

jeudi, février 18, 2016

La ferita

Ho una ferita nella caviglia sinistra. mi è venuta con un paio di scarpe che amo moltissimo.
La fine di una storia è a tutti gli effetti una ferita; sia che ci si lasci di comune accordo, che ci si lasci bene, con affetto e dolore, o male, con insulti e odio. sia che si lasci, o che si sia lasciati.

Per farti quella ferita, piccola o grande, con le tue scarpe preferite, ci devi aver camminato su parecchio. O ci hai fatto molta strada, macinato chilometri, camminando pian piano e godendoti il panorama, o forse ci hai ballato senza sosta come una pazza per una notte intera.
In ogni modo, la ferita da scarpe non è un taglio netto, ma più un'abrasione lenta lenta e inesorabile.
Magari a un certo punto te ne accorgi anche, che ti si sta arrossando la pelle, ma pensi che non possa rompersi, e allora vai avanti per la tua strada, e le scarpe non le togli.
La tua pelle ha bisogno di aria, di riposo, di coccole, ma tu la ignori.
Finché il taglio non si apre, comincia a sanguinare, e brucia. Brucia da morire.
Ed è allora che fare anche un solo passo, di quelli che hai appena fatto a centinaia, a migliaia, a milioni, diventa dolorosissimo.
Un solo, singolo, piccolo, usuale movimento fino a tre secondi prima innocuo, diventa un gesto di una violenza inaudita, che ti fa entrare i brividi nel cuore e ti paralizza.
Solo chi ha un paio di Jimmy Choo può capire davvero il dolore di questo brivido.
A fine serata, o a fine cammino, quando ti togli la scarpa, l'unica cosa che vuoi è allontanarla da te, per quanto la ami e l'abbia amata, e te la togli e la scagli lontano, con rabbia e amore al tempo stesso.
La mattina dopo ti alzi, scalza e arruffata come quando hai appena fatto l'amore, scendi dal letto e scendi per fare colazione. assonnata barcolli con la tua tazza di tè fino in salotto e ti butti sul divano, alzi lo sguardo e la vedi...lì tutta storta in un angolo tra il tappeto e il divano, dove l'avevi lanciata la notte prima. E la vai a prendere, con amore e un certo timore, e vorresti già rimetterla, perché in fondo in quella scarpa, ti senti a casa, per quanto ti faccia male.
E la guardi con più amore che mai, perché ti accorgi che scagliandola contro il divano, si è segnata la pelle, e sai di averla rovinata, e non sai se riuscirai a sistemarla. Dio quanto le vuoi bene adesso, e quanto ti dispiace di averla rovinata!
Il senso di colpa ti prende la testa, e ti si annebbiano di botto i pensieri e i sentimenti.
E le vuoi così bene che te la rimetti, senza pensarci, e porca merda se fa male.
Malissimo.
Malerrimo.
Dentro di te sai che prima di poter provare a rimetterla, dovrai aspettare che la ferita si rimargini.
Ma anche quando la ferita si sarà rimarginata, non sarà più la stessa cosa.
Anche se è la scarpa della tua vita, sarà sempre quella stronzissima scarpa che ti ha fatto sanguinare.

Ho paragonato una storia d'amore a una scarpa, è vero. Ma è una Jimmy Choo.

La scia

Scrivo di getto di solito. scrivere è uno sfogo. scrivo perché ho troppe cose nella testa, e scriverle le libera, e mentre scrivo mi sento più leggera.
Sono piena di certezze, tutte assolute e incrollabili, ma ogni due minuti queste certezze cambiano, e ognuna è assoluta e incrollabile come la precedente.
E in questo turbinio di voci, colori, emozioni, fitte, mattoni che volano e pensieri assoluti, l'unica immagine costante è il consiglio più vecchio del mondo: "respira" mi dico.
Respira.
Respira.
Respira.
Un respiro è calmo e tranquillo, e quello dopo è fuoco.
Respira.
Respira.
Respira.
Voglio correrti incontro, abbracciarti, stringerti, farti sentire amato.
No.
Respira.
Respira.
Respira.
Concentrati su te stessa, ascoltati, prendi tempo.
Il tempo è sottovalutato.
Respira.
Respira.
Respira.
Corrimi incontro, stringimi, abbracciami, amami, tienimi forte.
No!
Respira.
Respira.
Respira.
Prenditi tempo, cambia prospettiva.
Anche quando prendi una strada sapendo dove vuoi andare, durante il cammino puoi cambiare meta.
Respira.
Respira.
Respira.
Voglio accendere la luce nei tuoi occhi con la mia magia!
No. Niente magia ti prego. Non farmi male, non ancora.
Respira.
Respira.
Respira.
L'unica cosa che non voglio fare è l'unica che devo fare: aspettare.

mercredi, février 17, 2016

La Torre

Poi mentre tu voli, ti arriva un mattone in testa. 
Le domande di chi mi conosce bene sono i mattoni che mi stanno volando addosso adesso.
vanno in processione al fortino, tirano giù un mattone, mirano ben bene verso il cielo e...sbam, mi prendono in pieno.
ed è come se mi urlassi contro.
e penso, ma io ci volevo restare attaccata a te!, non desideravo altro che mi tirassi giù come si fa con i palloncini delle fiere a forma di Minion, e che mi stringessi così forte ma così forte da non permettermi di volare via mai più!! Eppure mentre mi tiri, io scalpito. E quando volo via, riprendo di colpo a respirare, in quella sofferenza che non si può spiegare. 
E allora forse ha ragione E., quando davanti a un tè mi guarda con affetto scuotendo la testa e dice: "sei proprio bilancia ascendente gemelli".

La giostra infernale - brucerò in un inferno ingegneristico altamente schematizzato

Mi friggono le piante dei piedi oggi.

Mi friggono come un tempo, più di un tempo, in modo diverso da un tempo.
Ho nella testa così tante cose, che i pensieri più veri scappano a gambe levate e vanno a rifugiarsi nei piedi, da dove vorrebbero uscire; ma dato che non possono uscire, scalpitano. E scalpitando, friggono friggono friggono. 
Credo che il motivo per cui mi friggono i piedi sia questo.
Un po’ come quando mi bruciano le orecchie le volte che mangio piccante. Io credevo che succedesse a tutti, invece da poco ho scoperto che pare succeda solo a me.
Comunque, mi ero fissata sul ritornare me stessa, e l’altra mattina a colazione (la colazione della mattina di San Valentino, ma questa è un’latra storia), I. mi fa: “ma sei sicura che vuoi tornare quella di prima?”
mumble mumble.
Domanda da otto milioni di scellini. soprattutto perché, essendo noi come un fiume che scorre, quando passo sotto il Ponte Dattaro sono una persona diversa da quella che passa poi sotto il Ponte di Mezzo. Questo vale ovviamente se sei parmigiana.
Non so bene sotto che ponte sono adesso, ma so che mi sto portando dietro un bel po’ di detriti, ed ecco perché faccio così fatica a camminare e ho sempre l’affanno. I detriti pesano. E sporcano.
Ci siamo lasciati? Mi hai lasciato? Ti ho lasciato? Ci siamo persi? Ci siamo spenti? E’ colpa mia? Ci siamo disinnamorati? Ci siamo abbruttiti? Era già finita tanto tempo fa ma ancora non lo sapevamo? Lo sapevamo già? Ci siamo traditi? Ci siamo voluti bene? Ce ne vorremo sempre? Se è destino torneremo insieme? Siamo troppo diversi per stare insieme?
vattelapesca.
E’ finita, e questa è l’unica cosa reale. Dividiamoci le cose di casa, questo sì che è reale.
Amo gli Ingegneri, li ho sempre amati e sempre li amerò. E forse sono destinata a sofferenza imperitura per questo.
Brucerò in un inferno di sofferenze organizzate.
E tutto per un interruttore, per colpa delle stramaledette lucine.
Le lucine si accendono perché tu (io) schiacci un interruttore. Tu (io) non sai cosa passa dall’interruttore alle lucine, lui (lui!) sì. Per te (io) è magia, per lui (lui!) è realtà. 
Uno scontro fra titani insomma. 
Uno scontro che inevitabilmente provoca scintille, incomprensioni, dolori e picchi di emozioni.
Tu che voli, e lui che ti tira a terra.
Io che volo, e tu che mi tiri a te.
Poi un bel giorno le lucine non si accendono più. E adesso siamo fregati entrambi, ma io più di te, perché la magia non mi dice perché le luci non si accendono più, mentre a te l’ingegneria reale te lo spiega, se tagli il cavo, apri la scatola elettrica, analizzi, e fai l’autopsia al cadavere della nostra relazione.
Tu, volatrice professionista, non le capisci le cose se lui, ingegnere reale, non te le spiega.
Io le cose non le capisco, se non ci sei tu che me le spieghi.

dimanche, février 14, 2016

L'albatro

Spleen et idéal.
I fiori del male sono un'ottima lettura per un cuore frantumato nella mattina di San Valentino. Non scrivo più sul blog da anni, non perché siano stati anni particolarmente intensi o impegnati, ma semplicemente perché da quel lontano post in cui dichiaravo di essermi smarrita...così semplicemente non mi sono più ritrovata. Ho lasciato rovine lungo la strada, e lasciato palazzi imperiali alla mercé di vento, pioggia e intemperie. Ho passato i giorni a costruirmi un fortino attorno, mattone dopo mattone, lacrima dopo lacrima, ricacciata indietro invece che lasciata scorrere sulle guance per finire, impregnata di rimmel, a macchiarmi i vestiti. Ho smesso giorno dopo giorno di gioire delle piccole cose, vedere un bel fiore mi sembrava normale, come normale mi sembrava non sentire l'odore del viola. Sono diventata una specie di principessina del ghiaccio.
E adesso, che un giga martello di Thor si è abbattuto in picchiata sul mio tanto agognato fortino, i mattoni stanno cadendo, uno per uno, e mi colpiscono in testa, sul cuore, e sulla pancia, e fanno male. fanno davvero male.
E le lacrime che mi rigano le guance non sono macchiate di rimmel solo perché è mattina presto.
La sofferenza è così forte da non permettermi quasi di respirare, e le lacrime, che tanto bene ho imparato a tenere dentro, sgorgano in modo così naturale che sembra non si vogliano più fermare. E così, tra le lacrime e questa sofferenza atroce che non riesco a controllare, ho avuto un'illuminazione: ritrovare me stessa non vuol dire essere più forte, ma essere più fragile.
La sensibilità faceva di me la persona speciale che ero, quel cucciolo sperduto che senza una guida non ce l'avrebbe mai fatta nel mondo degli adulti.
Poi, tutto ad un tratto, mi sono trasformata in adulta, questo mondo ha smesso di sembrarmi una giungla e io ho smesso di guardarmi attorno, ho smesso di vivere le emozioni, perché avevo paura di soffrire.
E così, adesso soffro per tutto il tempo in cui sono stata rinchiusa.
Mattone dopo mattone.
Lacrima dopo lacrima.

E come l'albatro catturato, tanto ero bella mentre volavo in cielo con quelle ali bianche grandi e libere, tanto sono goffa e brutta catapultata nel mondo reale, in questo mondo che non mi appartiene.

dimanche, avril 13, 2014

Il posto incantato dei sinonimi - nel boschetto della mia fantasia

Ingenuità e fiducia sono sinonimi?

mercredi, avril 09, 2014

Non è la meta ma il viaggio

Giorni fa sbiciclettavo in centro con D, voglio uno yogurt, dico.
Uno yogurt gelato della yogurteria del centro, di quelli tipo gigaenormi, con la frutta sotto, poi il gelato, poi la frutta sopra, e la cialda, il croccante, il cioccolato bianco, il miele, le fragole, l'ananas, uno di quelli che solo a guardarli hai la felicità nel cuore e l'estate negli occhi.
Niente, la yogurteria era chiusa.
Che smacco.
Fa niente, dico, c'è Grom in via farini (per inciso, grazie Federico Grom per aver portato al mio palato il caramello al sale - il mio animo francese ti sarà sempre grato per questa stupendezza), andiamo lì. sì, 20 minuti di coda. uff, no, la coda oggi no. Che non vuol dire che vai da grom un giorno che non c'è coda, ma semplicemente che ci vai un giorno che hai voglia di fare la coda.
Insomma, sbicicletta di qua, e sbicicletta di là, annusiamo un po' di primavera e torniamo a casa felici ma senza yogurt né negli occhi né nel cuore.

Stasera vado dal parrucchiere. Toh, il mio parrucchiere è in centro, e sono ben qualche minuto in anticipo!
Allora è fatta, questa volta la yogurteria (tutta la yogurteria!) è mia.
E così sia.
Vado, spavalda, prendo lo yogurt più fruttoso, bello, buono, colorato, gnammissimo che ci sia.
Un trionfo d'estate, a esser parchi.

Mi incammino felicerrima verso la pizza e in via cavour mi ruzzola davanti un cartellino di cartone.
"Vi prego. ho fame. aiuto."
Lo rincorro, lo riprendo, lo porgo al signore che fa l'elemosina davanti a Zara.
Gli chiedo ti piace lo yogurt?
Lui dice, sì.
Allora ti lascio il mio.
E gli allungo la ciotola con l'estate dentro.
Lui mi ringrazia, io gli dico prego, e proseguo per la mia strada.

Dopo qualche passo mi volto, vedo che si risiede, sistema il cartello, e mangia lo yogurt.
La gente mi guarda strano, mi hanno visto mentre gli davo il gelato e chissà cosa pensano - la gente.
Chissene, io sono contenta, a me quello yogurt mi è piaciuto di più così che se lo avessi mangiato io.



dimanche, janvier 19, 2014

Di telefilm e altre amenità da divano durante le giornate uggiose

Prendete per esempio "La signora in giallo":
Jessica Fletcher è indubbiamente un noto personaggio menagramo, in ogniddove approda, qualcuno muore ammazzato e intere famiglie vengono straziate da drammi inenarrabili, la puntata finisce con minimo due membri familiari in meno - la vittima e l'assassino- perché si sa, il 90% degli omicidi viene commesso da persone vicine, ma molto molto vicine, ma ciò che rimane della famiglia after all è molto più sereno, e il tutto finisce sempre -ma sempre sempre semprissimo- con il faccione di J.B. che se la ride della grossa.
Bam! Titoli di coda!
E' rassicurante.
(grazie mia cara amica B per questo aggettivo, mi resterà sempre nel cuore, come le chat durante i pranzi davanti alla Fletcher).
Vuoi mettere?
Prendiamo adesso un altro telefilm, ma uno a caso -molto, molto, molto poco a caso- : Walking dead.
Pranzereste mai davanti a Walking dead? io no.
Di sicuro non ho voglia di mangiare del pesto di cavallo crudo mentre vedo budella e interiora insanguinate che escono da ogni dove -bleah- e gente morta che mangia gente viva, che poi diventerà a sua volta morta con il solo scopo nella morte di mangiare altra gente viva.
Lo guardereste la sera prima di addormentarvi?? io noooooooooooooooooooo.
Già ho paura del buio d'estate dopo aver visto Pane e tulipani.
In Walking dead poi, gli zombie sono davvero la parte meno paurosa del telefilm, questa è la vera verità, perché poi gli uomini diventano tipo peggio assassini e pazzi psicopatici dei non-morti, perché sono ancora vivi in un mondo post-apocalittico e vivi vogliono restare, quindi al via l'eterna lotta per tenere pulito il mio cortile buttando le scorie radioattive in quello del vicino. Magari ho perso un attimo il filo conduttore del telefilm, ma per capirci, ecco. Le persone vive possono essere molto più cattive degli zombie.
E' un concetto molto poco rassicurante, questo.
Soprattutto se sai che è la verità.
Ecco perché mi piace Castle: è una Fletcher al maschile, è come se fosse il suo erede.
C'è un omicidio, indagano, flirtano, trovano il colpevole, cercano di incastrarlo, è-lui-o-non-è-lui, mini colpo di scena, lo arrestano, fine!
I personaggi principali non muoiono, ci vanno vicino, ma sai che non muoiono. quindi puoi mangiare le tue macine e bere il tuo the senza che ti vadano di traverso, e poi puoi andare a letto senza sognare gente che mangia gente.
E' rassicurante.

Quindi D, se guardo Walking dead con te...non è perché mi piace il telefilm.

dimanche, mai 19, 2013

La metamorfosi (again)

Avevo già subito una metamorfosi anni fa.
Da eroina romantica a mostro mitologico.

Già in quella metamorfosi avevo perso il mio animo romantico, lo sturm und drang che aveva caratterizzato la mia adolescenza e l'ingresso nell'età "adulta", nella maturità dei sentimenti; ma si sa che io, in quanto a sfera sentimentale, sono maturata piuttosto tardi rispetto alla media nazionale.
Non credevo che subire un'ulteriore metamorfosi fosse possibile, invece mi ritrovo oggi ad affrontarla faccia a faccia, forse sono pronta ad affrontarla anche se sì, mi fa davvero tanta ma tanta paura.

Non scrivo più poesie tragiche sulle mie ansie e le mie solitudini (che sarebbe un bene se qualcuno le avesse mai lette, ma visto che non sono mai uscite dal cassetto, credo che non gliene freghi niente a nessuno...), non riesco più a sentire il profumo di polpa bianca di mela leggendo le poesie di Neruda, non trovo più le attese momenti pieni di mistero e magia, ma mi infastidisco se qualcuno ritarda o se il tizio davanti a me in macchina va ai 40 all'ora senza motivo.
Non osservo più le persone pensando che ci sia un mondo granderrimo e meraviglioso oltre ogni sguardo, ogni sorriso, non colgo più le variazioni dei colori nei refoli di vento che mi sfiorano il viso, ma il vento mi dà fastidio perché mi vanno i capelli davanti alla faccia.
Non mi rapiscono più come prima i modellati serici di Canova, le pennellate di Lautrec o i puntini di Seurat.
Non vedo più i colori nelle emozioni, e non sento i profumi nelle parole, non mischio più le sfere sensoriali.
Tutto questo è tremendo, mi sento superficiale e piatta come un'asse da stiro, mi sento come se la parte di me più "mia", più vera, fosse evaporata. Pouffffffffffff.
E pam, il vuoto assoluto; come un raviolo al vapore senza ripieno.

Ma c'è una cosa che mi consola: una lacrima è scesa davanti ad Amore e Psiche, quindi sì, una speranza c'è, io, da qualche parte, ci sono ancora. Devo solo uscire dal mio blocco di marmo.

vendredi, novembre 02, 2012

Ikea on a holy-day day

Sono andata all'Ikea ieri.
Una frase che detta da qualunque persona normale sarebbe normalissima.
Detta da me un po' meno, considerato che io, all'Ikea, non c'ero mai stata, per una serie di motivi:
- non avevo posto in casa neanche per uno spillo, ergo è una tortura vedere settemila cose carinerrime sapendo di non poterne comprare neanche mezza
- mi vengono gli attacchi di panico nei posti con i percorsi prestabiliti
- c'è troppa gente (per sentito dire, ovviamente)
Ma c'è sempre una prima volta.
La mia prima volta è andata bene ben oltre le aspettative:
ho comprato un carrello di roba, mi sono persa nei colori e negli abbinamenti, mi è venuta voglia di comprare una cucina, e a vedere gli appartamenti di 55 m/q arredati quasi quasi mi veniva voglia di traslocare direttamente nello show room.
Una volta uscita ho addirittura:
- fatto merenda all'angolo pappa
- comprato il salmone e le patatine

Ha ragione D, il mio ragazzo che ha fatto sì che io non morissi nello show room in mezzo alla calca del giorno di festa: sono dei geni, quelli dell'Ikea.

Sono a tutti gli effetti una donna Ikea-dipendente.