samedi, février 27, 2016

Ogni cosa è illuminata

E poi.
Un giorno, in un momento preciso, anche se non so quale di preciso, ho tirato fuori la testa dall'acqua e ho ripreso di botto a respirare.
Mi è parso tutto molto chiaro, a me, la regina delle certezze della cippaminchia.
Ho deciso di ascoltarmi, senza paura, senza schemi mentali, senza sovrastrutture né giudizi, ed è una cosa che mi devo ricordare ad ogni respiro, perché appena mollo un attimo la linea mediana del corpo e smetto di abbracciare il centro, vengo trascinata nel turbinio della vita che sta fuori, e mi perdo, di nuovo.
Per ritrovarsi, bisogna perdersi.
Inutile guardarsi indietro con rancore, rabbia, amarezza, delusione. Se non abbiamo fatto cose apparentemente semplici da fare, è perché non era tempo, o luogo.
Da una telefonata, sincera e molto bella, con L, vengono fuori le parole come se rotolassero via direttamente dal cuore, ed è vero, non ho paura.
Perché adesso, quello che prima scrivevo per convincere me stessa, per farlo scendere dalla testa al cuore, finalmente esce direttamente dal cuore.
In questo momento di vuoto cosmico, di dubbio brutale, di semplici domande tipo "come stai" che aprono uno stargate su mondi sconosciuti, c'è una certezza, che viene dal cuore e illumina tutto intorno:
il cambiamento è sempre positivo.

lundi, février 22, 2016

Le cinque fasi di elaborazione del lutto

1. Negazione
si rifiuta di credere che stia succedendo davvero, per risparmiarsi una sofferenza oltremisura. Il famoso fortino, le mura, la chiusura che avevo verso il mondo, per paura di soffrire, di soffrire così forte da non permettere che una sola goccia potesse far svuotare tutta la brocca, il cuore pieno di lacrime mai verste, parole non dette, emozioni non vissute.
2. Rabbia
perché? la rabbia io ce l'ho, non verso di lui, non solo. verso di me, per non essere stata capace di reagire. verso di noi, per non essere stati capaci di trovare un modo vero per reagire, per aver lasciato che si rovinasse una cosa preziosa che avevamo. sì, sono arrabbiata.
3. Contrattazione
con me stessa, più che altro. mi viene in mente una parola, che a pennello mi ha detto I ieri sera: resilienza. mi guardo intorno e dico, penso, progetto, alterno momenti di sconforto a momenti di estrema consapevolezza che sia la scelta giusta. Serenità, sguardo al futuro; passo indietro, rabbia, sconforto, delusione.
4. Depressione
non c'è via d'uscita, presa di coscienza della perdita. penso a tutte le cose belle che avevamo e che non possiamo più condividere. prendo coscienza dei miei errori, dei tuoi. Non mi isolo, ma non so cosa penso davvero.
5. Accettazione
sono pronta a voltare pagina. magari tra un po' lo sarò, quando mi sentirò stabile sulle mie gambe.


E' come se avessi tutte le fasi mischiate insieme in un unico cuore, troppo piccolo per poter gestire tutto questo potpourri di roba tutto insieme. Un momento sono lucidissima, il momento dopo voglio scappare, quello dopo ancora voglio affrontare tutto in una volta e fare progetti per il futuro. parliamo, e mi sembra che non abbiamo mai parlato, sono arrabbiata per tutto il tempo che abbiamo buttato via, buttando via non solo il tempo, ma anche l'amore. c'è un motivo, mi continuo a ripetere. c'è un motivo per tutto, c'è un motivo se ho perso te e il mio lavoro in dieci giorni. ci deve essere.
Ci siamo persi di brutto, abbiamo lasciato scivolare via l'amore dalle nostre mani, come sabbia tra le dita. e oggi, nonostante io abbia mille risposte, ogni risposta mi lascia in bocca un amaro tremendo, che un momento si lenisce impacchettandoti la roba, un momento dopo si lenisce al pensiero che ti voglio e ti vorrò sempre bene, e un momento dopo ancora non si lenisce per niente.
E questa vita, fatta di momenti, cosa mi sta dicendo? la solita cosa: l'unica cosa che può lenire il tuo dolore è il tempo. E forse il tempo ti darà anche delle risposte. Adesso non ci capisci niente, ma domani, o tra un mese, o due, ti darà le chiavi di lettura per questo manuale enciclopedico da sei chili che ti sei ritrovata sullo zerbino di casa.

jeudi, février 18, 2016

La ferita

Ho una ferita nella caviglia sinistra. mi è venuta con un paio di scarpe che amo moltissimo.
La fine di una storia è a tutti gli effetti una ferita; sia che ci si lasci di comune accordo, che ci si lasci bene, con affetto e dolore, o male, con insulti e odio. sia che si lasci, o che si sia lasciati.

Per farti quella ferita, piccola o grande, con le tue scarpe preferite, ci devi aver camminato su parecchio. O ci hai fatto molta strada, macinato chilometri, camminando pian piano e godendoti il panorama, o forse ci hai ballato senza sosta come una pazza per una notte intera.
In ogni modo, la ferita da scarpe non è un taglio netto, ma più un'abrasione lenta lenta e inesorabile.
Magari a un certo punto te ne accorgi anche, che ti si sta arrossando la pelle, ma pensi che non possa rompersi, e allora vai avanti per la tua strada, e le scarpe non le togli.
La tua pelle ha bisogno di aria, di riposo, di coccole, ma tu la ignori.
Finché il taglio non si apre, comincia a sanguinare, e brucia. Brucia da morire.
Ed è allora che fare anche un solo passo, di quelli che hai appena fatto a centinaia, a migliaia, a milioni, diventa dolorosissimo.
Un solo, singolo, piccolo, usuale movimento fino a tre secondi prima innocuo, diventa un gesto di una violenza inaudita, che ti fa entrare i brividi nel cuore e ti paralizza.
Solo chi ha un paio di Jimmy Choo può capire davvero il dolore di questo brivido.
A fine serata, o a fine cammino, quando ti togli la scarpa, l'unica cosa che vuoi è allontanarla da te, per quanto la ami e l'abbia amata, e te la togli e la scagli lontano, con rabbia e amore al tempo stesso.
La mattina dopo ti alzi, scalza e arruffata come quando hai appena fatto l'amore, scendi dal letto e scendi per fare colazione. assonnata barcolli con la tua tazza di tè fino in salotto e ti butti sul divano, alzi lo sguardo e la vedi...lì tutta storta in un angolo tra il tappeto e il divano, dove l'avevi lanciata la notte prima. E la vai a prendere, con amore e un certo timore, e vorresti già rimetterla, perché in fondo in quella scarpa, ti senti a casa, per quanto ti faccia male.
E la guardi con più amore che mai, perché ti accorgi che scagliandola contro il divano, si è segnata la pelle, e sai di averla rovinata, e non sai se riuscirai a sistemarla. Dio quanto le vuoi bene adesso, e quanto ti dispiace di averla rovinata!
Il senso di colpa ti prende la testa, e ti si annebbiano di botto i pensieri e i sentimenti.
E le vuoi così bene che te la rimetti, senza pensarci, e porca merda se fa male.
Malissimo.
Malerrimo.
Dentro di te sai che prima di poter provare a rimetterla, dovrai aspettare che la ferita si rimargini.
Ma anche quando la ferita si sarà rimarginata, non sarà più la stessa cosa.
Anche se è la scarpa della tua vita, sarà sempre quella stronzissima scarpa che ti ha fatto sanguinare.

Ho paragonato una storia d'amore a una scarpa, è vero. Ma è una Jimmy Choo.

La scia

Scrivo di getto di solito. scrivere è uno sfogo. scrivo perché ho troppe cose nella testa, e scriverle le libera, e mentre scrivo mi sento più leggera.
Sono piena di certezze, tutte assolute e incrollabili, ma ogni due minuti queste certezze cambiano, e ognuna è assoluta e incrollabile come la precedente.
E in questo turbinio di voci, colori, emozioni, fitte, mattoni che volano e pensieri assoluti, l'unica immagine costante è il consiglio più vecchio del mondo: "respira" mi dico.
Respira.
Respira.
Respira.
Un respiro è calmo e tranquillo, e quello dopo è fuoco.
Respira.
Respira.
Respira.
Voglio correrti incontro, abbracciarti, stringerti, farti sentire amato.
No.
Respira.
Respira.
Respira.
Concentrati su te stessa, ascoltati, prendi tempo.
Il tempo è sottovalutato.
Respira.
Respira.
Respira.
Corrimi incontro, stringimi, abbracciami, amami, tienimi forte.
No!
Respira.
Respira.
Respira.
Prenditi tempo, cambia prospettiva.
Anche quando prendi una strada sapendo dove vuoi andare, durante il cammino puoi cambiare meta.
Respira.
Respira.
Respira.
Voglio accendere la luce nei tuoi occhi con la mia magia!
No. Niente magia ti prego. Non farmi male, non ancora.
Respira.
Respira.
Respira.
L'unica cosa che non voglio fare è l'unica che devo fare: aspettare.

mercredi, février 17, 2016

La Torre

Poi mentre tu voli, ti arriva un mattone in testa. 
Le domande di chi mi conosce bene sono i mattoni che mi stanno volando addosso adesso.
vanno in processione al fortino, tirano giù un mattone, mirano ben bene verso il cielo e...sbam, mi prendono in pieno.
ed è come se mi urlassi contro.
e penso, ma io ci volevo restare attaccata a te!, non desideravo altro che mi tirassi giù come si fa con i palloncini delle fiere a forma di Minion, e che mi stringessi così forte ma così forte da non permettermi di volare via mai più!! Eppure mentre mi tiri, io scalpito. E quando volo via, riprendo di colpo a respirare, in quella sofferenza che non si può spiegare. 
E allora forse ha ragione E., quando davanti a un tè mi guarda con affetto scuotendo la testa e dice: "sei proprio bilancia ascendente gemelli".

La giostra infernale - brucerò in un inferno ingegneristico altamente schematizzato

Mi friggono le piante dei piedi oggi.

Mi friggono come un tempo, più di un tempo, in modo diverso da un tempo.
Ho nella testa così tante cose, che i pensieri più veri scappano a gambe levate e vanno a rifugiarsi nei piedi, da dove vorrebbero uscire; ma dato che non possono uscire, scalpitano. E scalpitando, friggono friggono friggono. 
Credo che il motivo per cui mi friggono i piedi sia questo.
Un po’ come quando mi bruciano le orecchie le volte che mangio piccante. Io credevo che succedesse a tutti, invece da poco ho scoperto che pare succeda solo a me.
Comunque, mi ero fissata sul ritornare me stessa, e l’altra mattina a colazione (la colazione della mattina di San Valentino, ma questa è un’latra storia), I. mi fa: “ma sei sicura che vuoi tornare quella di prima?”
mumble mumble.
Domanda da otto milioni di scellini. soprattutto perché, essendo noi come un fiume che scorre, quando passo sotto il Ponte Dattaro sono una persona diversa da quella che passa poi sotto il Ponte di Mezzo. Questo vale ovviamente se sei parmigiana.
Non so bene sotto che ponte sono adesso, ma so che mi sto portando dietro un bel po’ di detriti, ed ecco perché faccio così fatica a camminare e ho sempre l’affanno. I detriti pesano. E sporcano.
Ci siamo lasciati? Mi hai lasciato? Ti ho lasciato? Ci siamo persi? Ci siamo spenti? E’ colpa mia? Ci siamo disinnamorati? Ci siamo abbruttiti? Era già finita tanto tempo fa ma ancora non lo sapevamo? Lo sapevamo già? Ci siamo traditi? Ci siamo voluti bene? Ce ne vorremo sempre? Se è destino torneremo insieme? Siamo troppo diversi per stare insieme?
vattelapesca.
E’ finita, e questa è l’unica cosa reale. Dividiamoci le cose di casa, questo sì che è reale.
Amo gli Ingegneri, li ho sempre amati e sempre li amerò. E forse sono destinata a sofferenza imperitura per questo.
Brucerò in un inferno di sofferenze organizzate.
E tutto per un interruttore, per colpa delle stramaledette lucine.
Le lucine si accendono perché tu (io) schiacci un interruttore. Tu (io) non sai cosa passa dall’interruttore alle lucine, lui (lui!) sì. Per te (io) è magia, per lui (lui!) è realtà. 
Uno scontro fra titani insomma. 
Uno scontro che inevitabilmente provoca scintille, incomprensioni, dolori e picchi di emozioni.
Tu che voli, e lui che ti tira a terra.
Io che volo, e tu che mi tiri a te.
Poi un bel giorno le lucine non si accendono più. E adesso siamo fregati entrambi, ma io più di te, perché la magia non mi dice perché le luci non si accendono più, mentre a te l’ingegneria reale te lo spiega, se tagli il cavo, apri la scatola elettrica, analizzi, e fai l’autopsia al cadavere della nostra relazione.
Tu, volatrice professionista, non le capisci le cose se lui, ingegnere reale, non te le spiega.
Io le cose non le capisco, se non ci sei tu che me le spieghi.

dimanche, février 14, 2016

L'albatro

Spleen et idéal.
I fiori del male sono un'ottima lettura per un cuore frantumato nella mattina di San Valentino. Non scrivo più sul blog da anni, non perché siano stati anni particolarmente intensi o impegnati, ma semplicemente perché da quel lontano post in cui dichiaravo di essermi smarrita...così semplicemente non mi sono più ritrovata. Ho lasciato rovine lungo la strada, e lasciato palazzi imperiali alla mercé di vento, pioggia e intemperie. Ho passato i giorni a costruirmi un fortino attorno, mattone dopo mattone, lacrima dopo lacrima, ricacciata indietro invece che lasciata scorrere sulle guance per finire, impregnata di rimmel, a macchiarmi i vestiti. Ho smesso giorno dopo giorno di gioire delle piccole cose, vedere un bel fiore mi sembrava normale, come normale mi sembrava non sentire l'odore del viola. Sono diventata una specie di principessina del ghiaccio.
E adesso, che un giga martello di Thor si è abbattuto in picchiata sul mio tanto agognato fortino, i mattoni stanno cadendo, uno per uno, e mi colpiscono in testa, sul cuore, e sulla pancia, e fanno male. fanno davvero male.
E le lacrime che mi rigano le guance non sono macchiate di rimmel solo perché è mattina presto.
La sofferenza è così forte da non permettermi quasi di respirare, e le lacrime, che tanto bene ho imparato a tenere dentro, sgorgano in modo così naturale che sembra non si vogliano più fermare. E così, tra le lacrime e questa sofferenza atroce che non riesco a controllare, ho avuto un'illuminazione: ritrovare me stessa non vuol dire essere più forte, ma essere più fragile.
La sensibilità faceva di me la persona speciale che ero, quel cucciolo sperduto che senza una guida non ce l'avrebbe mai fatta nel mondo degli adulti.
Poi, tutto ad un tratto, mi sono trasformata in adulta, questo mondo ha smesso di sembrarmi una giungla e io ho smesso di guardarmi attorno, ho smesso di vivere le emozioni, perché avevo paura di soffrire.
E così, adesso soffro per tutto il tempo in cui sono stata rinchiusa.
Mattone dopo mattone.
Lacrima dopo lacrima.

E come l'albatro catturato, tanto ero bella mentre volavo in cielo con quelle ali bianche grandi e libere, tanto sono goffa e brutta catapultata nel mondo reale, in questo mondo che non mi appartiene.