lundi, septembre 03, 2007

I cosiddetti sani - la patologia della normalità

"Queste strane cose chiamate occhi, che esistono per formare nel volto una lieve e piacevole depressione, in lui sono malate di modo che gli disturbano il cervello. Sono molto dilatate, hanno le ciglia, con palpebre che si muovono; di conseguenza, il suo cervello è in uno stato costante d'irritazione e di distrazione."

Così viene diagnosticata la malattia della vista a un giovane smarritosi in Malesia da un medico di una tribù dove da molte generazioni tutti gli individui sono affetti da cecità congenita. era il 1925, è "Il paese dei ciechi" di H.G. Wells.

Sto leggendo questo libro (quello del titolo, non quello di Wells) di Fromm, e mi ha colpito molto la teoria dell'adattamento, che si basa implicitamente su alcune premesse:
1) ogni società in quanto tale è normale:
2) chi non corrisponde al tipo di personalità gradito alla società deve considerarsi psichicamente malato;
3) il sistema sanitario, in ambito psichiatrico e psicoterapeutico, ha lo scopo di ricondurre il singolo individuo al livello dell'uomo medio, indipendentemente dal fatto che questo sia cieco o vedente (per rifarci al racconto di Wells).
Conclusione: l'unica cosa che conta è che l'individuo sia adatto, che non turbi il contesto sociale.
Ricordo perfettamente il brivido che mi ha percorso la schiena mentre leggevo questa frase,
in un periodo poi in cui sovente mi interrogo sulla cosiddetta "normalità".
rabbrividivo perchè, in soldoni, io mi pongo circa queste domande:
essere normali significherebbe essere adatti alla società in cui viviamo?
significherebbe essere conformi a quello che la società si aspetta da noi in modo da non turbarne l'equilibrio?
praticamente non possiamo essere una ciliegia in un minestrone di piselli perchè...stona?
poi leggo un altro po' e arrivo qua:
"Ogni società, grazie alle sue istituzioni culturali, al suo sistema scolastico, alle sue convinzioni religiose, ecc., cerca in ogni modo di formare un tipo di personalità che aspiri a fare ciò che deve, e che, oltre a volere fare quanto è necessario, desideri esercitare con zelo il ruolo che la società, per potere funzionare senza attriti, gli ha assegnato."
E riecco il brivido, che stavolta mi percorre la schiena su e giù due volte.
vedo la società come una specie di Grande Sorella cattiva, che ci vuole uniformare e fare tutti uguali perchè così non possiamo contraddirla, rovinarla, incrinarla o stonare il suo perfetto mélange di colori pastello. brrrrrrrr.

Da quando sono poco più che bambina la normalità è un concetto che ritengo banale, insulso, direi addirittura stupido. anzi, penso che la normalità non esista per niente, eppure è un concetto astratto che mi affascina tantissimo perchè sento dire la parola "normale" mgliaia di volte al giorno e devo ammettere che, anche nello sforzo di cancellare quella parola dal mio vocabolario, ogni tanto esce anche dalla mia bocca.

"ma cosa fai, giri per casa nudo?! non sei normale!"
"hai tradito dopo 10 anni perchè il matrmonio ormai è routine? non preoccuparti, è normale"
"amo mozzarella e marmellata. oddio, sarò poco normale?!"

normale, normale, normale. cosa diavolo è la normalità??
anche per rispondere a questa domanda sto leggendo il libro di Fromm, che ovviamente non mi darà nessuna risposta precisa ma mi butterà tanto fumo negli occhi, a suon di paroloni e grosse teorie dai nomi possibilmente astrusi.
Io sto usando Fromm e teorie sociologiche di rilievo per parlare di una normalità cittadina, quotidiana, sicuramente abusata nelle sue forme grammaticali più che in quelle reali, ammesso che ne abbia una o più d'una. insomma, bref, devo ammettere che quando gli altri mi dicono che non sono "normale" (magari perchè abbino cibi convenzionali in modi non convenzionali, o perchè mi agghindo con fiorelloni qua e là, o perchè scrivo solo con una penna e deve essere quella penna, o perchè nell'astuccio tengo tutte le biro con la punta rivolta verso destra, o perchè voglio che i limoni vengano tagliati esclusivamente a metà e mai per il lungo), non posso evitare di sentirmi tutta tronfietta, orgogliosa e fiera, perchè in fondo per me la normalità di cui si sente tanto parlare altro non è che quello che fa la maggioranza delle persone, quindi il non essere normali è solo essere diversi, distinguersi per una ragione o per l'altra dalla maggioranza. essere particolari. essere speciali.
una chiazza arcobaleno su fondo monocromo.
però, pnsandoci ben bene, che senso ha sentirmi fiera di sfuggire ad un'etichetta che designa un concetto per me inesistente?!
sono normale?

3 commentaires:

Francesca a dit…

complimenti. e in bocca al lupo per il futuro-passato-presente blog! Mi piace davvero molto questa nuova immagine di te online. anche se - lo ammetto - non vedo l'ora di vederti la settimana prossima!!! Sará la prima volta in nove mesi... andiamo a fare shopping e aperitivo????

Anonyme a dit…

...scusa se mi intrufolo nel tuo blog. T ho trovata facendo una ricerca a proposito l'erasmus a Rennes. Ed è stato fantastico trovarti e leggere le tue pagine!

Partirò venerdi 14 e vorrei farti 1000

T scrivo la mia email:
gelato_alle_nocciole(AT)yahoo.com

Grazie

Anonyme a dit…

La normalità non è altro che essere uguali agli altri .se tutti cominciassero ad andare in giro saltellando su una gamba sola e con la lingua fuori probabilmente questo diventerebbe normale. Essere normali significa quindi uniformarsi a un modello comune che può facilmente cambiare,questo riguarda soprattutto il modo di pensare,infatti le persone si fanno infuenzare dagli altri.questo vale indistintamente per bambini e adulti(io ho13 anni) . Questa è la mia teoria della normalità.