lundi, mars 26, 2007

300

C’erano i tempi in cui la «postproduzione» di un film era il tocco finale. Oggi può capitare che per girare tutte le scene bastino 60 giorni. E poi ci voglia un anno per creare il film vero e proprio. È quello che è successo con «300». Narra la battaglia delle Termopili, quando 300 eroici spartani nel 480 a. C. fermarono per tre giorni l’avanzata dei Persiani. Eppure è stato girato interamente in uno stanzone di Montreal, in Canada, davanti a un grande telo azzurro: «il blue screen». E con non più di 80 attori. Gli eserciti sterminati, i paesaggi plumbei, persino un’imponente flotta di navi nel mezzo di una tempesta, sono stati aggiunti dopo. Col computer.
Sarà questo il futuro del cinema? A giudicare dai risultati, e da qualche rapido calcolo, si può sospettare di sì. Perché negli Stati Uniti «300» ha incassato più di 70 milioni di dollari nel primo weekend di programmazione. Vale a dire il doppio dell’incasso totale di «Alexander», il precedente kolossal ispirato alla storia classica. Con la differenza che il film di Oliver Stone, girato in maniera tradizionale in Marocco, era costato tre volte di più. E allora è probabile che i produttori faranno i loro conti e finiranno col favorire sempre più la nuova tecnica digitale, investendo in un cinema che ormai è molto vicino al fumetto animato.
Fumetto, appunto. «300» è tratto da una «graphic novel», o romanzo a fumetti, di Frank Miller (lo stesso di «Sin City»). E perciò si prende molte libertà. «Più che la correttezza storica ci interessava la scorrettezza storica» hanno detto all’unisono Miller e il regista Zack Snyder. Che si vantano di aver rilanciato il genere peplum dopo il flop di «Alexander», proponendo alla Warner «una danza di morte e sesso». Missione compiuta, tanto che negli Usa il film si è beccato il bollino «R» (ovvero: vietato ai minori di 17 anni non accompagnati; ma in Italia il giudizio è ancora al vaglio della censura). «Non volevamo raccontare quello che è successo veramente nei dettagli, ma quello che è visivamente più affascinante» spiegano i due. E così gli Spartani combattono molto più nudi di quanto non fossero 2.500 anni fa, per mettere in evidenza i corpi scolpiti; nelle file dei nemici si muovono rinoceronti che non ci sono mai stati; e i Persiani vanno in giro con un mantello di teschi sulle spalle, oppure schierano giganti e guerrieri dall’aspetto mostruoso.
Cosa che ha fatto infuriare le autorità iraniane e irrigidito i già tesi rapporti tra Stati Uniti e Iran. I Persiani, infatti, altro non sono che gli antichi Iraniani. E il modo in cui vengono descritti non è per niente piaciuto all’entourage del leader Ahmadinejad. Il suo responsabile per la cultura Shamghadri ha detto che il film rappresenta l’ennesimo tentativo da parte degli Stati Uniti di umiliare l’Iran. E il popolare giornale «Ayende-No» ha titolato: «Hollywood dichiara guerra all’Iran», scrivendo: «Il film dipinge gli iraniani come demoni senza cultura, sentimenti o umanità, il cui unico scopo è quello di aggredire le altre nazioni e ucciderne gli abitanti. È l’ennesimo tentativo di diffamare la civiltà iraniana di fronte al mondo».
Del resto anche la critica occidentale, quando il film è stato presentato al festival di Berlino, si è sbizzarrita a tracciare paralleli tra la storia del film e la scena politica di oggi. Leonida, condottiero del drappello di eroi che devono difendere la libertà dell’Occidente, è forse George Bush? I Persiani, decisi ad assoggettare il resto del mondo alle loro leggi e al loro stile di vita, incarnano forse l’estremismo islamico? Snyder e Miller negano riferimenti diretti, ma poi gettano benzina sul fuoco: «Ringraziate le Termopili se oggi potete mangiare in un fast food» dice il regista, sottintendendo che quella battaglia è stata decisiva per la sopravvivenza della nostra cultura (gli Spartani, pur sconfitti, fecero guadagnare tempo prezioso alle città greche, che poterono organizzarsi e preparare una flotta che avrebbe poi sconfitto i Persiani a Salamina). E Miller: «Io racconto lo scontro tra libertà e tirannia. Comunque, penso che il mondo occidentale sia migliore». Schermaglie ideologiche a parte, il film merita di essere visto per la straordinaria forza delle immagini. Il mondo fantastico di Miller è stato ricreato, e addirittura potenziato, disegnando al computer paesaggi dai colori cupi e insieme brillanti, saturi e fortemente contrastati, mai realistici, ma epici. Il film è così tutto un unico «effetto speciale»: su 1.500 inquadrature, quelle che non hanno ritocchi sono appena 200.
La storia comincia quando i messaggeri di Serse (Rodrigo Santoro) intimano la resa al re spartano Leonida (Gerard Butler). Per tutta risposta, lui li scaraventa in un pozzo. Ma i politicanti guidati dal corrotto Terone (Dominic West) hanno paura di combattere, e gli negano la guida dell’esercito. Leonida raccoglie allora 300 volontari della sua guardia personale e si dirige alla gola delle Termopili, dove conta di rallentare la marcia del nemico, in attesa che le altre città della Grecia si coalizzino. Intanto la moglie Gorgo (Lena Headey), non meno combattiva, resta nella città a combattere i piani di Terone.
Quando i due condottieri si fronteggiano, ecco finalmente l’immortale scambio di battute che ci ha tramandato lo storico Erodoto. Serse: «Non sai che con le mie frecce posso oscurare il sole?» Leonida: «Vorrà dire che combatteremo all’ombra». E inizia la battaglia... «Leonida sa che la sconfitta è certa, ma proprio in questo sta il suo eroismo» racconta Frank Miller, che ricorda come sognava di scrivere «300» fin da bambino. «Un giorno mio padre mi portò a vedere “L’eroe di Sparta”. Più la storia andava avanti e più ero sconvolto. Ma come, pensavo, i buoni vengono uccisi? Non vincono? Poi ho capito che proprio per questo sono eroi. Non agiscono per avere alla fine una medaglia. Fanno quel che è giusto. Anche a costo della vita. Vedete, la storia era già bellissima, io dovevo soltanto illustrarla bene». E lo stesso fa il film.

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